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Vocazione, voce e azione

VOCAZIONE vs CALL TO ACTION (voce e azione) – 21 aprile 2024

Quarta domenica del tempo pasquale

VANGELO

Dal Vangelo secondo Giovanni – In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo».

RIFLESSIONE

“Egregio Signore” è un’espressione ormai in disuso. Fino a qualche anno fa rimaneva almeno sulle buste.

Viene dal latino “ex-grege, fuori dal gregge”: è chi non si adegua alla realtà facendosi trascinare come pecorone, né pensa ad usare tutti e ad abusare di tutto come mercenario.

Egregio è chi ha in mano la propria vita (come dice Gesù) con la qualità delle scelte che fanno sentire realizzati.

Questa è la vocazione. Non è solo il farsi prete o suora, ma è la decisione quotidiana di volere una vita piena (e quindi sacra) dentro la realtà più normale: nel matrimonio, nella genitorialità, nel lavoro, nell’impegno sociale.

Il “buono” del pastore, dell’egregio, sta nel capire che Dio mi vede al meglio, mi pensa completo, mi desidera contento.

Vocazione però è un termine che sa troppo di incenso e muffa. Non ha fascino, curiosità, interesse, appeal. Viene rimbalzato.

Oggi va di moda nel life-coaching cercare “call to action”: la parola accattivante, la proposta coinvolgente, il contatto appagante che fidelizza un rapporto implicante. È quel pulsante da cliccare così che i sogni divorino la vita e non sia la vita a divorare i sogni.

Perché “il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni. Ognuno col suo talento” (Paulo Coelho).

La vita di tutti gli uomini è attraversata da sogni a occhi aperti, una parte dei quali è solo fuga insipida, anche snervante, anche bottino per imbroglioni; ma un’altra parte stimola e non permette che ci si accontenti del cattivo presente, appunto non permette che si faccia i rinunciatari (Ernst Bloch).

Questo sì che è moderno e funziona! Questo sì che coinvolge! La Chiesa deve svecchiare il concetto clericale di vocazione!

Ma… “call to action” in italiano è “chiamata ad agire”, voce e azione… appunto voc-azione. Sono la stessa cosa!

In un viaggio in Palestina ho capito che l’immagine del pastore che Gesù aveva sotto gli occhi e a cui pensava nel Vangelo non era quella del belloccio con l’agnellino riccioloso, ma era quella di scaltri ragazzini dagli occhi vispi e di adulti con le cicatrici delle loro storie, che avevano la capacità di cavarsela in situazioni difficili, di sapersi orientare nei deserti rocciosi senza indicazioni, di saper guardare il nulla e scovarci delle oasi, di saper percepire i pericoli e lottare contro gli attacchi.

Anche a noi Gesù vuole insegnare questa scaltrezza, per non farci adeguare alla piatta mediocrità dei pecoroni né farci imbrigliare da spacciatori di illusioni.

Buon pastore, egregio, è chi si tira fuori dalla logica al ribasso che fa vivere vicini ma appartati (in appartamenti, infatti), confinanti ma a distanza di sicurezza, connessi ma solo per dividere le spese o perché può servire.

Non c’è pastore senza un gregge, non c’è egregio senza un noi: il pastore cura il gregge e il gregge nutre il pastore.

La vocazione, la “call to action” evangelica, è avere talmente il gusto della preziosità vita da volerla piena per poi donarla, perché solo mano nella mano si può sognare ad occhi aperti.