UDIRE, ASCOLTARE, SENTIRE
8 settembre 2024 – 23ma domenica del Tempo Ordinario B
VANGELO
Dal Vangelo secondo Marco – In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
RIFLESSIONE
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Non c’è peggior muto di chi parla a vanvera.
Gesù nel Vangelo compie tre gesti sul sordo-muto e oggi li rifà su di noi per toccarci, interpellarci, liberarci: sfiora le orecchie per stapparle dal cerume dell’ostinazione, umidifica con la sua saliva le labbra screpolate dall’acidità, offre un soffio per togliere la polvere della rassegnazione.
Mi ha portato alle tre sfumature di udire, ascoltare, sentire.
UDIRE è far scivolare in modo impermeabile una parola, facendola entrare da un’orecchia e uscire dall’altra.
Se invece la parola si ferma dentro e sale al cervello è ASCOLTARE: si elabora, si memorizza, si gusta.
Dal cervello può poi scendere nel cuore allora è SENTIRE: si generano “sensazioni” o ancor più “sentimenti”.
Spesso siamo talmente otturati che al posto di udire, ascoltare, sentire, il nostro è solo un aspettare il turno per controbattere. Non c’è l’intento di capire, ma solo quello di rispondere. Inviamo post, recensioni, sms, mail, commenti, storie. Non ci confrontiamo. Ognuno tiene la sua idea. Forse si scrive tanto perché siamo sordomuti nell’animo.
Leonardo Da Vinci insegnava che “saper sentire significa possedere oltre al proprio cervello, il cervello degli altri”.
Come cambierebbe se prima di reagire facessimo (come Gesù) un sospiro (invece che sbuffare) domandandoci se si è solo udito, oppure se si ascoltato per rinfacciare o se invece si è sentito quanto c’è sotto l’apparenza dei toni.
Ad esempio quando si litiga si alza la voce anche se si è vicini perché si percepisce la distanza di un burrone da colmare. Al contrario gli innamorati sussurrano percependosi uniti.
Chi ti vuol capire ti capisce anche se non parli. Chi non si mette in questione non ti sente nemmeno se urli.
Passare dall’udire facendo scivolare per comodità egoistica quello che non ci interessa o che ci è scomodo, all’ascoltare attentamente ogni virgola che ci infastidisce per memorizzarla e rinfacciarla appena possibile, ci è facile. Invece sentire è molto più difficile e responsabilizzante: si ode un suono, si ascolta un contenuto, si sente l’anima.
Porta nelle relazioni a “parlare correttamente” (cfr sordomuto) anche solo per convenienza. È meglio sforzarsi di usare il più possibile parole soffici, leggere, dolci, delicate perché può succedere di doversele rimangiare. Sono più digeribili.
Porta nella fede ad accorgersi di udire indifferenti il vangelo e poi però accusare il Signore di non ascoltare i nostri bisogni. A dire il vero parliamo di tutto e con tutti tranne che con Dio. Per lui, come per chi ama, essenziale è sentire: sentirsi dentro, sentirsi accanto, sentirsi in sintonia, sentirsi presenti.
Da qui nasce la domanda “come ti senti?” insieme soprattutto al coraggio di aspettare la risposta con interesse premuroso udendo i mascherati “bene”, ascoltando il non detto e sentendo la verità che riempie il cuore. Non è così scontato, ma fa il miracolo di far sentire bene e di sentirsi bene.