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Per la confessione

Ma cosa vado a dire?      
Traccia per la confessione

Quando andiamo a confessarci nasce l’angoscia del “ma cosa dico al prete? Sono sempre le solite cose! E poi, non ho fatto niente di male, niente di così grave!”. L’incontro con Dio non è tanto un dire “mi piaccio o non mi piaccio”, quanto piuttosto aprire la parte più profonda e più densa del cuore all’abbraccio di un Dio che è più testardo di noi nel volerci bene. Dio ci capisce prima che giudicarci. Non ci aspetta il dito puntato di un giudice severo dal volto corrucciato, ma l’abbraccio di un padre che ci rialza con un sorriso che rimette in piedi. Non è la “lista della spesa” delle solite cose, quanto la ricerca di una verità intima per vedere ciò che è più urgente, più concreto, più fattibile da mettere in gioco, qui e adesso.

La seguente pista di riflessione vuole essere una provocazione per guardarsi allo specchio della grazia e vedere il nostro volto interiore. Non è un questionario. La risposta non è in cosa sono mancante o peggio negativo, ma in quante occasioni invece riesco ad essere positivo, bello, realizzato. E sono di più sicuramente. Se vedo le ombre è perché c’è il sole. E se guardi il sole le ombre cadono sempre dietro a te. È il momento di guardare le ombre per alzare la testa e accorgerci del sole dentro di noi e intorno a noi.

Sono contento di vivere? Mi so ripetere che la vita è bella comunque e nonostante tutto? Da dove nasce la mia gioia: dall’essere amato o dall’avere qualcosa? Mi sforzo di vedere nelle cose di ogni giorno il lato positivo, la sfida a crescere anche quando c’è da stringere i denti nella fatica? Mi accorgo di essere tutto sommato un fortunato?

Mi so proporre degli obiettivi per migliorarmi tenendo conto di quello che ho e di quello che sono? Coltivo interessi o hobby per tenere viva la testa o sono un pantofolaio? Rimando sempre a domani quello che posso fare oggi? Mi lamento sempre di tutto o so meravigliarmi e stupirmi del bello? Mi arrendo dopo qualche sconfitta o fallimento e non voglio fare più niente? Ho il coraggio delle mie idee? Sono un brontolone, pronto a parlar male di tutto e di tutti, solo perché forse sono scontento di me stesso?

Sono attento al mondo che mi circonda o mi chiudo nel guscio incolore e insapore della mediocrità e non me ne frega niente di quello che c’è intorno? Con le cose che rapporto ho? Con i soldi? Sono generoso o avido e avaro? Ho preso senza dire grazie o peggio senza pagare? Prendo e pretendo?

Agli altri comunico e regalo tranquillità e gioia oppure solo noia e tristezza? So godere della gioia degli altri o sono invidioso o geloso? Delle persone e delle situazioni sottolineo di più gli aspetti positivi e simpatici, o quelli negativi e antipatici?

Sono capace di dire “grazie”, “per favore”, “scusa”? Quanto chiedo: “come stai?”. Sono capace di offrire aiuto? Riesco a prestare le cose? Faccio regali inaspettati? So fare qualche sacrificio per rendere più piacevole la vita in casa, al lavoro, a scuola o tra gli amici? So donare un po’ del mio tempo in modo gratuito, senza tornaconto, magari facendo del volontariato? Sono “collaboratore” o “complicatore”?

Tratto gli altri con dolcezza, o sono sempre brusco, arrabbiato, musone, aggressivo? Sono sempre pronto ad indagare sulle faccende private degli altri? So esprimere affetto in modo delicato? Sono capace di ascoltare? Colgo i bisogni di chi ho vicino? Cerco amicizie particolari che mi aiutino a crescere o mi interessa solo trovare piacere e soddisfazione personale? Confondo simpatia con volgarità?

Gli amici possono contare su di me o non si fidano perché non mantengo la parola e non porto fino in fondo gli impegni? Riconosco che ho dei legami e degli obblighi verso la famiglia, i genitori, i colleghi, i compagni? Sono uno che tradisce gli amici usandoli per i propri comodi o facendo fare loro brutte figure? Mantengo le promesse anche se costa fatica? Come è il mio linguaggio? Dico la verità? Quanto dico quelle mezze verità che fanno nascere mille bugie o fraintendimenti? Quando “riporto” voci sentite, penso che possono essere menzogne che fanno male?

Di fronte alle inevitabili tensioni cerco una via d’uscita e di chiarificazione o mi intristisco e giro le spalle arrendendomi o peggio covando rancori, risentimenti, vendette?

Mi capita di scaricare sugli altri (fratelli, amici, compagni) le mie colpe, trovando sempre invece una scusa per quello che faccio io? Accuso gli altri ingiustamente per scusare me stesso e difendermi? Giudico o cerco di comprendere chi ho vicino?

Come è il mio rapporto di coppia? Cerco di tenerlo vivo nella quotidianità nutrendolo di novità e di condivisione, oppure è stanco, rassegnato, piatto, noioso? Cerco da altre parti ciò che non trovo più nella persona con cui vivo? Mi avvicino con serenità alla sessualità nei pensieri, nei gesti, negli atteggiamenti, nelle parole, o sciupo banalizzandolo questo grande dono del Dio dell’Amore?

Se ho figli so essere genitore? Educo? Trasmetto, nella fatica del dialogo, valori e principi? Cerco di capire il loro linguaggio o i messaggi che vengono lanciati?

Infine, pensiamo al nostro rapporto con Dio. Lasciare Dio all’ultimo posto in questo esame di coscienza è perché in verità lui è il senso vero di ogni nostro gesto. È rendersi conto che la fede è la linfa dei gesti più quotidiani e normali.

Riconosco che ho bisogno di un aiuto “dall’alto” che mi conduca e mi dia forza? Forse la mia fede non è più quella di una volta, ma ho provato a costruire con Dio un rapporto più maturo, anche gridando nella fatica, anche cercandolo nella lontananza del dubbio, anche sentendolo vicino nel peccato? Sento il bisogno di incontrarlo nella Messa della domenica o è solo un dovere che se salta non mi interessa più di tanto?

Nel mio cuore, tra le tante cose da fare, c’è un angolino per Dio? Quando? Quanto? Prego solo quando mi serve o quando ho bisogno di qualcosa, magari un miracolino urgente, o mi ricordo del Signore ogni giorno? Provo a parlare col Signore, anche solo magari per fargli domande, per cercare un senso o per gridare a lui? (ci si arrabbia solo con coloro a cui si vuole bene!). Ho mai letto il Vangelo? Dio lo sento persona o è solo un’entità astratta e lontana? Al massimo (se mi ricordo) mi scappa qualche preghiera detta a memoria, svelta, mentre faccio mille cose o le preghiere sono uno strumento per mettermi alla sua presenza? Se Dio è dappertutto è anche dentro di me: lo ringrazio per tutto quello che ogni giorno mi dona: la vita, la salute, l’amore, l’amicizia, l’intelligenza, le esperienze, le cose che rendono la mia quotidianità tutto sommato di livello buono? Mi vergogno davanti agli altri di essere amico di Gesù, di fare un segno di croce in pubblico, di pregare, di andare a Messa?

Ma alla fine, io in Dio ci credo? Chi è per me? Quanto ha a che fare con la mia vita? Cosa dice alla mia vita? A cosa mi serve? Far finta di essere cristiani non serve a niente.

Anche se tu non credi sempre in Dio, Dio crede in te! Capire questo è il vero senso della confessione. Non perdiamoci in una lista arida. Non perdiamoci nemmeno nel sentimento di smarrimento che porta a dire “ma io mi ritrovo in tutte queste cose”, anzi proprio questa sproporzione può aiutarci a gustare maggiormente il grande amore di Dio, un amore smisurato, sproporzionato, più solito dei nostri soliti peccati, più quotidiano delle nostre debolezze quotidiane. È il momento della gioia e non della tristezza o vergogna. È il tempo del coraggio di ripartire e non dello scoraggiamento del tornare indietro.

Dio entrando nel nostro cuore vede tutto quello che c’è e non solo le cose negative e le fragilità. Impariamo da lui a vedere e riconoscere anche il bello e il buono che c’è in noi. Perciò proviamo a fare un esame di coscienza al contrario e proviamo a elencare anche tutte le cose belle che per grazia di Dio siamo, abbiamo e facciamo.

Infine, non dimentichiamo in chiesa il suo perdono, ma portiamolo a casa. Dalla confessione si esce con qualcosa in più: riempiti di energia di cambiamento. Come da benzinaio: non ti aggiusta la macchina ma ti fa il pieno. Se poi Dio è amore, la preghiera non può essere una “penitenza”, ma è un grazie e una richiesta di aiuto per scegliere un impegno concreto attraverso il quale portare nella nostra realtà più concreta la sua grazia: una parola di pace, un gesto di tenerezza, un dono, un’attenzione a una situazione di bisogno.  La confessione non è la lavatrice di Dio, ma è un cammino che parte da te.