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Nell’ultima cena

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME

Giovedì santo, nella cena del Signore – 28 marzo 2024

“Ciò che ho fatto io, fatelo anche voi in memoria di me. Sapranno che siete miei amici da come vi amerete” dice Gesù gli Apostoli  (nell’ultima cena) e stasera a noi.

In questa Quaresima ci ha guidato il Crocifisso medico e medicina. Fare ciò che ha fatto lui significa diventare capaci di curarsi nel senso di curare se stessi,  di avere cura del quotidiano, di prendersi cura degli altri.

Ho ricevuto un dono prezioso (e ormai raro): una lettera. Due persone hanno voluto condividere un loro vissuto: le parole celebrate sono diventate azioni vissute; il cammino fatto con la comunità è diventato scelta personale.

I nomi sono di fantasia, la storia no.

 

Siamo Ernesto e Ludovica, sposati da 40 anni e i nostri 2 figli ci hanno resi felicemente ma impegnativamente nonni. Erano anni che non ci prendevamo una domenica per noi e abbiamo deciso di andare a Milano. Usciti dal Duomo, ci siamo incamminati sotto i portici verso San Babila.

All’altezza del negozio HM c’era una vecchietta molto minuta, sdraiata a terra. Lo sguardo era rivolto al cielo, la bocca aperta senza denti, la carnagione pallida, i vestiti logori e sporchi. Mettiamo una moneta in un bicchiere di carta, quasi inesistente per lei, che però gentilmente risponde sussurrando “grazie!”. Continuiamo a guardare i negozi, stiamo in silenzio, qualcosa però agita in ciascuno la testa e il cuore. In viaggio avevamo condiviso alcune riflessioni sugli spunti sentiti. Ci guardiamo e senza dire nulla torniamo indietro a chiedere: “Ti senti bene? Vuoi che chiamiamo un’ambulanza?”. “No, grazie” risponde. Più che di medici o medicine, aveva bisogno di cura. Mia moglie Ludovica mi prende per mano ed entriamo alla Rinascente a cercare una coperta ma i prezzi sono cari per noi. Lei spiega a una commessa che stranita risponde: “Signora, è la Rinascente!”. Non si dà pace, non sopporta più la distrazione e l’insensibilità della gente che passa e non vede. Io invece sento crescere dentro un’agitazione: mi sento piccolo davanti a una donna così umana e determinata. Entriamo in altri negozi e troviamo qualcosa di abbordabile: un giubbotto e un maglione.

Io pago, non dico una parola, corriamo a cercare la nonnina. La copriamo. I suoi occhi si riempiono di lacrime di gioia. Continua a ripeterci “Grazie! Sarete sempre nelle mie preghiere! Che Dio vi benedica!” e bacia le mani di mia moglie ripetutamente. Io finora ero stato un passo indietro perché convinto che emanasse cattivo odore, ma ora avvicinandomi ho scoperto che non era così e tra me e me ho pensato: “forse è questo il profumo della santità?”. In quel momento, in mezzo alla gente che passava, in pieno centro di Milano, sono scoppiato a singhiozzare in un pianto liberatorio. Non mi interessava quello che gli altri pensavano. Mia moglie Ludovica, guardandomi basita, mi ha abbracciato e mi ha detto: “Amore, ti sei emozionato! Comunque grazie per avermi permesso di fare questo”. “Non devi ringraziarmi – ho detto io – lo avresti fatto lo stesso!”. Era molto strano: io ho pianto poco in tutta la mia bellissima e fortunatissima vita. Qualche volta quando avevo vent’anni, per le incomprensioni, e poi alla morte di mio padre prima e di mia mamma dopo. Poi basta. Stavolta però l’emozione è stata fortissima: l’emozione di chi capisce che potenza formidabile è l’amore, l’emozione di chi capisce che donare ti restituisce molto di più di ciò che dai, l’emozione di chi capisce che il sorriso e le mani baciate da quella nonnina non hanno prezzo e valgono molto ma molto di più di quanto abbiamo speso, l’emozione di chi capisce che donna imponente il buon Dio mi ha messo a fianco. Quella nonnina ha fatto lei bene a me.

Ora mi inserisco e chiudo io, Ludovica, anche solo per dire che per me, ma per Ernesto soprattutto, è stato uno dei giorni più felici della nostra vita.

 

“Ciò che ho fatto io, fatelo anche voi in memoria di me. Sapranno che siete miei amici da come vi amerete” dice Gesù gli Apostoli  (nell’ultima cena) e stasera a noi. Fare ciò che ha fatto lui significa diventare capaci di curarsi nel senso di curare se stessi,  di avere cura del quotidiano, di prendersi cura degli altri.