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IOIEN

IOIEN
16 febbraio 2025 – 6a domenica del Tempo Ordinario C

 

 

VANGELO

Dal Vangelo secondo Luca – In quel tempo, c’era gran folla di discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

RIFLESSIONE

Quanto possiamo dire: beato noi? Magari fossimo beati!

Un desiderio? Un sogno? Un’utopia?

Mi sono chiesto: la beatitudine è melatonina o adrenalina?

Ho l’impressione che ci sia dissonanza di significato tra la nostra idea di beatitudine e quella del Vangelo.

Beatitudine per noi ha il sapore soporifero della melatonina, tranquillante, rilassante, pacificante, anestetizzante.

La beatitudine di cui parla Gesù invece è adrenalina, è energia, forza, dinamicità, progettualità, libertà.

Beatitudine è “ottimismo ponderato”, misurato e informato, che guarda in faccia ai limiti, alle fatiche, alle sconfitte e che reagisce al dilagante “pessimismo approssimato”, in un’epoca di passioni tristi, di valori tiepidi, di ideali molli, di vitalità logorata, di relazioni opache, di creatività pallida.

Beatitudine non è felicità, non è appagamento, non è piacere.

La felicità dà gusto e colore a pensieri, situazioni, relazioni; l’appagamento colma i sentimenti; il piacere solletica la pelle.

La beatitudine invece è la pienezza dell’anima per questo esiste e resiste anche quando i pensieri hanno caos, i sentimenti hanno lacrime, la pelle ha ferite e lividi.

La beatitudine non è l’arrivo ma la strada. Felicità, appagamento, piacere sono dei traguardi. La beatitudine è modo di camminare, è uno stile.

Non è dipendente da persone o cose, ma dall’autostima.

Non è superamento di un disagio, ma equilibrio interiore.

Non è evitare il peggio, ma cercare il meglio.

“Alla fine tutto andrà bene!”, così crede la beatitudine, non però in un illusorio e consolatorio auto-convincimento come pillola di melatonina per cercare di dormire tranquilli, ma con la coscienza realistica che guarda le difficoltà, le fatiche, le frustrazioni, le delusioni e si dice: “se non va tutto bene, vuol dire che non è la fine”.

Ma come e dove trovare questa adrenalina?

La poesia più breve di tutta storia della letteratura è in greco antico, è di Saffo (500 a.C.) ed è fatta da una sola parola: “IOIEN – che io possa andare oltre”.

È coscienza delle proprie fragilità, è speranza inossidabile, è libertà da pregiudizi, è accoglienza di punti di vista diversi, è leggerezza invece che brontolare, recriminare, accusare.

Saffo, prima poetessa della storia, donna rivoluzionaria, prende il concetto di valore che in quel tempo era dimostrato narrando grandi guerre, eroi valorosi e mondi mitologici, e lo applica alla dimensione più piccola dell’io interiore.

Qui ci sono le vere vittorie, i veri eroi, i veri miti.

Qualcuno pensa che IOIEN sia invece un frammento di una parte mancante. Se fosse così è ancora più bello quel “che io possa andare oltre”, perché dimostrerebbe che è l’unica cosa che resta quando tutto si sciupa o va perso.

Proviamo a chiederci: quale beatitudine ci prospettiamo?

L’anestesia della melatonina in un pessimismo approssimato o la forza dell’adrenalina che smuove un ottimismo ponderato?

 

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CELEBRAZIONE DELLA MESSA
Sabato – ore 18
Domenica – ore 10 e 18